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Giuseppina Arangino
Cagliari, Italie - Italiana

Récits
Sorres (estratto)

La cena era andata benissimo. Avevano riso, mangiato, discusso come non le capitava da tanto. Avevano perfino guardato e commentato le foto fatte ai murales. Lei per tutta la serata si era sentita particolarmente allegra e rilassata. Forse si era concessa qualche bicchiere di troppo, ma il vino che aveva portato Franco era veramente delizioso. Comunque non è che fosse sbronza, per carità, solo un po’ su di giri. E le piaceva veramente lasciarsi cullare da quel gradevole senso d’ebbrezza. Probabilmente era per quello che varie volte nel corso della serata la vista di Anna le aveva causato delle vere e proprie coltellate al cuore. Il suo dolce modo di inclinare il capo, la lieve piega del labbro che anticipava un sorriso, le sopracciglia corrucciate quando ti dedicava tutta la sua attenzione. Se non fosse stata in preda ai fumi dell’alcool si sarebbe sicuramente allarmata. Non erano assolutamente pensieri che doveva o poteva permettersi. Ricordi di un’attualità finita in cui poteva indulgere. A dir la verità erano del tutto incongrui, e per vari motivi. Li aveva scacciati, eccitata e indispettita, mano a mano che si presentavano. Nonostante questo le era rimasta addosso una tensione particolare. Come se una corrente elettrica le attraversasse la pelle. Non c’era da stupirsi, con la concentrazione che doveva mantenere e il livello di stress che ultimamente aveva dovuto affrontare.
A un certo punto, sentendo che i suoi amici parlavano di andarsene, si rese conto d’essersi estraniata. Si sforzò di rientrare nel gruppo. Sì, stavano proprio andando via tutti. Cercò di trattenerli: non era poi così tardi. Ma, chi aveva un impegno, chi un altro, tutti dovevano fare qualcosa l’indomani mattina. In realtà anche lei sarebbe dovuta andare al lavoro ma non era stanca e avrebbe voluto chiacchierare ancora un po’. Uno dopo l’altro li accompagnò all’uscita salutandoli. Buonanotte! Sì, ci vediamo presto. Ti telefono domani. Magari uno di questi giorni andiamo al cine, che dici?
Dopo aver chiuso la porta per l’ennesima volta, era tornata in salone.
Ancora sedute a tavola, uniche rimaste, Anna e Paola, una loro carissima amica gallerista, romana d’adozione, che si trovava in città per qualche giorno di vacanza, discutevano d’arte.
Le raggiunse e si mise ad ascoltarle versandosi un altro po’ di vino.
“Tu cosa ne pensi?” le chiese a un tratto Paola. “Scusate, ma temo d’essermi persa una buona parte del discorso e non sono in grado di intervenire”. Le sembrò che Anna le scoccasse un’occhiata strana. Ma no, si doveva essere sbagliata, avevano già ripreso la conversazione: Arte e Design. Qual era il confine? Che quadro era pittura o pannello di design? S’incantò ad ascoltarle ma non intervenne. Voleva solo godersi quel momento. Quella calda sensazione di familiarità. Come se niente fosse successo. Anna non fosse andata via. A lei non fosse accaduta quella cosa.
Sì, forse aveva proprio bevuto troppo.
Dopo un po’ di tempo la discussione ebbe termine e Paola si alzò per andarsene. “Io resto per aiutarti a riordinare” disse Anna alzandosi anch’essa. Lei annuì accompagnando l’amica all’ingresso. Tornata indietro la trovò che già sparecchiava. Si unì a lei e ritirarono tutto in silenzio. Quand’ebbero finito Anna si mise a fare un caffè. “Mi sembra, tesoro, che tu abbia bevuto un po’ troppo stasera” le disse preparando le tazzine, lei appoggiata allo stipite della porta la guardava. “Be’, non sono sbronza se è questo che intendi. Però sì, lo ammetto, ho bevuto un po’.” Anna la guardò con scettica dolcezza. La caffettiera iniziò a borbottare. “Comunque se il caffè è per me, sappi che se hai bevuto non ti fa niente, anzi è peggio!”
“Ah sì!?” domandò Anna dubbiosa. “Il caffè l’ho fatto perché dopo cena mi piace berne una tazza, lo sai benissimo. Ma ho pensato che facesse bene anche a te prenderne uno”.
“Come vuoi. Solo andiamo a berlo di là. Prima però mangio un po’ di pane”. E afferratone un pezzo dal cestino che era sul tavolo tornò in salone.
L’alcool dilagava per il corpo iniziando a far sentire di più i suoi effetti. Mangiare il pane ne avrebbe rallentato l’assorbimento. Almeno era quello che sperava. Accidenti, se avesse immaginato che Anna si fosse trattenuta non avrebbe bevuto tanto. Ora sicuramente si sarebbe preoccupata. Al diavolo! Non importava. Era stata una bella serata. Pazienza se la vedeva così. In fondo nel corso della loro storia aveva visto anche di peggio, no?
Si era appena seduta sul divano che Anna entrò posando sul tavolino un vassoio con due tazze. Nero e amaro il suo, macchiato e zuccherato il mio. Per un micro secondo quel pensiero le fece venire voglia di piangere. Nel mentre Anna si era seduta dall’altro capo del divano prendendo la sua tazza. “Allora bimba? Mi vuoi dire cos’hai?” attaccò secca. Lei ostentò l’espressione più stupita che poté.
“Ma dai, non dirmi che non mi hai mai vista così. È vero, ho bevuto un po’ di più, ma l’ho fatto altre volte!”
“Non fare la furba con me. Hai capito benissimo cosa voglio dire”. E poiché lei continuava a tacere guardandola interrogativa aggiunse: “Guarda che non riuscirai a evitare questa discussione. È da quando sono tornata dal Galles che ti comporti in modo strano…” Come le era capitato in quei primi giorni con Franco, rimase completamente scioccata. Non le sembrava d’aver fatto niente di anormale! Era possibile che tutti si accorgessero che ci fosse qualcosa che non andava? Ma in che cosa sbagliava?
Vabbè, era ingiusta, Anna non era certo tutti. “Strano?” Lo disse solo per prendere tempo. Ma Anna rispose. “Sì, strano. Sei incostante, distratta, certe volte assente. Altre sembri contenta, euforica perfino. Oppure scompari! E se ci sei, come stasera per esempio, all’improvviso sembri ritrarti e non parli. E poi questa ossessione che ti è venuta per il nuoto, non che non faccia bene… però con tutti gli impegni che hai! Sembra che tu voglia sfinirti. E questi capelli neri che ti sei fatta! Non che non ti stiano bene…” e si fermò in attesa di un suo intervento, bevve qualche sorso di caffè.
“Che c’entra ora il nuoto? Lo sai che adoro stare in acqua e nuotare mi rilassa. Ti sembra strana proprio l’unica cosa che mi fa stare bene? E i capelli sono solo un piccolo cambiamento… fa bene ogni tanto cambiare… Poi in ogni caso ricrescono. Sono solo stanca. Certe volte molto stanca. Ma per fortuna tra un po’ ho delle ferie. Non c’è nessun problema, non preoccuparti”. In un attimo, al di là delle parole, fu riassalita dalla voglia di parlarle, di raccontarle tutto. Quel rinnovato senso d’intimità… Ah, che grossa tentazione. Si attaccò al suo caffè. Anna aspettava pensosa. Le sopracciglia corrugate. Tutta l’attenzione su lei.
No, non era possibile. Non ci riusciva e basta. Non poteva e non voleva coinvolgerla. E neanche voleva cambiare i propri piani. In più era troppo brilla per fare qualsiasi cosa. “Guarda che lo so che questo è stato un periodo difficile. Cosa pensi, neanche per me è stato facile. Gli impegni di lavoro, la nostra rottura…” Lei annuì. Dio, perché era così bella? “Soprattutto la nostra rottura…” Anna si era spostata al suo fianco, “Sono veramente, veramente preoccupata per te… ti prego, dimmi cosa ti sta succedendo…” E poiché continuava a tacere: “Accidenti a te e ai tuoi Va tutto bene! La puoi smettere per una volta? Sono io. Io. Mi vedi?”
Si che ti vedo, e sei bellissima, pensò. Come sempre.
Avrebbe dovuto dire qualcosa. Qualcosa! Ma cosa? Che era stata violentata? Che voleva ucciderli? Che l’aveva desiderata tutta la sera? Oddio ho bevuto troppo, ho bevuto troppo, pensò. Non va mai bene bere.
“Lo so che è stato un periodo difficile, ma non pensavo ti avesse fatto così male…” La mano di Anna sulla sua coscia. Giustamente! Lei attribuiva tutto alla loro separazione! Come aveva fatto a non pensarci? Certo, aveva ragione! Una parte di lei tirò un sospiro di sollievo. L’altra, quella che l’aveva desiderata tutta la sera, si risvegliò.
“Accidenti, non è per niente facile sai?” riprese Anna.
“E non ti sto aiutando per niente” riuscì finalmente a dirle.
“E già!” sorrise Anna. “Volevo dirti… sai… Magari potremmo riparlarne… che ne dici? In tutti questi mesi mi sei mancata terribilmente. All’inizio pensavo fosse a causa dell’abitudine… che stupida son stata!”
Ma era proprio vero quello che stava sentendo? No, non era possibile. Aveva bevuto troppo e stava sognando.
“Ho visto, sai, come mi hai guardato tutta la sera… No, non fare quella faccia, ti prego… volevo dirti che anch’io…” Le mani di Anna che la cercavano?! “Anch’io tesoro mio…” Dio com’era bella. Il suo cuore ebbe un soprassalto. Doveva assolutamente baciarla. Baciarla. Baciarla.
Le loro labbra si unirono con violenza. Spinte da identica fame e fami differenti. Alla ricerca di una rinnovata strada conosciuta. Che buon sapore! Che buon sapore che aveva Anna. Lei cercò di scomparire nel suo odore. Travolte da quell’improvvisa passione scivolarono giù dal divano. Rotolarono sul tappeto. Sì, la desiderava. La ridesiderava fortemente. E anche Anna desiderava lei, eccome!
Per un attimo si cullò pienamente in quell’illusione. Ma quando Anna le fu sopra tutto quello che aveva attorno scomparve. Al suo posto la faccia dell’Urlatore, le mani della Maschera. Cominciò a contorcersi. Il loro odore. Il loro desiderio bavoso. Non poteva muoversi. Doveva opporsi. Ribellarsi. Scappare. Si divincolò con violenza. Qualche cosa la tratteneva. La tratteneva! Non poteva cedere!
Poi la voce di Anna oltrepassò i suoi incubi: “Amore mio cos’hai? Cos’hai? Cosa ti succede?!”
Ommioddio… Non era lì… Era a casa sua! Non era con loro. Era con Anna!
Si allontanò da lei scivolando velocemente contro il divano. Rannicchiandosi stretta stretta.
Ommioddio… Ommioddio… Cominciò a piangere silenziosamente. Ecco che tornavano. No, non se n’erano mai andati. Ecco cosa le avevano fatto.
Anna la raggiunse abbracciandola in silenzio. Senza capire esattamente cosa stesse succedendo, cercò di calmarla, consolarla. “Coraggio bimba, coraggio!” disse. “Non è successo niente… Va tutto bene…” E stringendola a sé la cullava. Lei si sforzò di riprendersi. Povera Anna, chissà cosa stava pensando. Passato il momento si asciugò le lacrime. Si abbandonò al suo abbraccio. Avrebbe voluto non pensare. Avrebbe voluto non parlare. Stare lì. Solo stare lì. A godersi quel contatto col suo corpo. Come se quell’istante fosse l’inizio e la fine. Tutto il tempo. Come se quello spazio fosse tutto il mondo.
Ma la realtà era un’altra cosa. “Scusami…” riuscì a dire. “Mi dispiace moltissimo…”
“Non importa amore…” la rassicurò Anna. “Pensa solo a rilassarti”. E la strinse più forte. “Anzi, perché non andiamo in camera e ti sdrai?”
“Mi dispiace…” insistette lei mortificata. “Troppo stress forse… tu non c’entri niente…”
“Ah, sì?” tentò di scherzare Anna. Lei sorrise.
“Sei bellissima, bellissima come sempre…”
“Sì, sì, bellissima!” si schernì Anna aiutandola a tirarsi su.
Ora che ci pensava era stanchissima. E l’alcool continuava a farsi sentire. “Mi sa che hai ragione e mi corico”. Caracollò verso la camera. Anna le andò dietro per sostenerla. Perché aveva bisogno di non interrompere quel contatto fisico. Lei si girò a fissarla. “Sei proprio bellissima” ripeté, e la baciò.
Quando ormai fu a letto, poco prima di cedere definitivamente alla stanchezza: “Anche tu mi sei mancata…” bofonchiò ad Anna che era rimasta a farle compagnia. (...)

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